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25 luglio 2017

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Castello Pasquini, Armunia

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Quando ero ragazzina stimavo un certo tipo di attori, mi aspettavo che un attore somigliasse all’idea che mi ero fatta,  che poi l’idea non  era neanche mia, proveniva  dall’immaginario comune:

la voce, la dizione, l’imponenza di una presenza, l’efficacia.

 

Tutti gli attori competenti hanno oggi la mia stima, ma sono le anomalie che mi attraggono.

Non il lavoro  ben fatto, ben realizzato, ma quel sentimento di caduta, di perdita, di fallimento.

 

Spesso a teatro la mia attenzione si focalizza su un attore che magari non ha

trovato la chiave, come si dice, ma che lotta contro la ripetizione, contro un’idea di fatto bene.

 

Sono conquistata dall’alto tasso di sincerità,non dico verità, che è un ideale,

ma sincerità che è una cosa concreta.

 

La sincerità di cui parlo è vicina al concetto di improvvisazione e lontana dal concetto di spontaneità.

 

La sincerità è una condizione in cui ci si mette per far sì che ci accadano tutte le cose che ci dovrebbero accadere (per la scena).

 

La sincerità è una gestione personale del tempo, è l’azione di creare ritmo in presenza del pubblico.

 

Nell’atto, un attore sincero, non descrive l’intenzione che lo muove, ricostruisce risposte che vi si allacciano, reazioni che l’atto ha suscitato.

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Non mi interessa chi ripete bene, mi interessa chi non può ripetere.

 

Dice chiaramente Claudio Morganti :

 

Compito dell’artista è osar di fallire.

Vivere lo scarto tra la tendenza naturale alla mortale replica e il desiderio di un vivo creare all’impronta. Questo è “conflitto”. Il dramma. La fascia di confine.

Desiderio di creare, o meglio, desiderio di trovarsi in un concatenamento di creazioni. 

 

 http://morganticlaudio.wixsite.com/morghantieff/del-fare   

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